Le premesse spirituali della cultura eurasista

11.03.2016

Si rimprovera talvolta all’Eurasismo di dare eccessiva importanza alle fondamenta naturalistiche delle sue idee; in esso il momento materiale (la geografia) definirebbe il contenuto spirituale della cultura, che rappresenterebbe una sorta di «sovrastruttura» al di sopra della base puramente fisica. In questo senso, l’Eurasismo possederebbe una specie di sapore di marxismo.

Occorre protestare con tutte le forze contro questa interpretazione della teoria Eurasista della cultura e della storia. L’Eurasismo ha sempre sottolineato l’enorme significato delle premesse spirituali della cultura – quelle emozioni spirituali che rappresentano le sorgenti originarie di ogni sviluppo culturale, quelle «idee-forza» senza le quali la cultura non può non solo svilupparsi, ma persino esistere. L’Eurasismo si contrappone a tutte le teorie naturalistiche o biologistiche della cultura, quali il materialismo economico, il razzismo, e così via. Ma al tempo stesso l’Eurasismo non separa l’«idea» dalla «materia», non cade nell’idealismo astratto contrapposto al materialismo astratto. Per l’Eurasismo ogni idealità è inseparabile da una realtà – persino «materialità» - ad essa collegata. Idealità e materialità sono in essenza i momenti dialettici della integrità della realtà, come forma e contenuto, continuità e discontinuità, unità e molteplicità, forza e massa. Per cui nell’integrità della cultura Eurasista, nella rifrazione relativa della sua realtà terrena, il momento materiale è l’eterno satellite del momento ideale, il quale non solo non perde il suo valore, ma acquista sostanza ed energia, indispensabili alla vita reale e all’azione storica reale.

La definizione del lato spirituale della cultura Eurasista si imbatte in questa difficoltà, che lo «spirituale», in quanto prodotto dell’energia e della forza, si trova sempre in divenire e in movimento. Per cui il contenuto spirituale della cultura non può in alcun modo esprimersi con l’aiuto di sole definizioni statiche. Al contenuto di questa immancabilmente ineriscono mobilità e dinamismo. Il lato spirituale della cultura Eurasista non è mai pura «datità» [dannost'] – essa è sempre al tempo stesso eterna intenzione [zadannost’] , compito e fine. L’uomo Eurasiatico non soltanto esiste, ma si crea nel processo dello sviluppo culturale. Il processo della creatività culturale non è mai pacifico, indolore e lineare. La cultura patisce le stesse malattie di crescita dell’organismo fisico. Il momento negativo della storia, di cui parlò Hegel, sempre si dà a conoscere anche nello sviluppo culturale. Le sue reali manifestazioni sono le rivoluzioni ed i «balzi» culturali, inseparabili dalla storia delle società umane tanto quanto dalla storia del mondo fisico e animale.

Nel periodo moscovita della sua storia, fino all seconda metà del XVII secolo, la Russia ha rappresentato una specie di mondo a sé stante, le cui premesse spirituali erano proprio Eurasiste. Non solo attraverso i legami vitali esistenti, ma anche tramite Bisanzio e la sua influenza, l’Oriente in Russia è in contatto con l’Occidente. Di quanto questo mondo moscovita fosse lontano dall’Europa può convincersi chiunque legga le testimonianze ed impressioni su Mosca di qualsiasi antico viaggiatore europeo.

l movimento decisivo di questo mondo autonomo in direzione dell’Europa ebbe luogo per la prima volta come risultato della rivoluzione culturale operata da Pietro il Grande. Gli Eurasisti sempre sottolineano che l’Impero Russo costruito da questo zar ad immagine dell’Europa non era di fatto né Europa né Asia, ma rappresentava una formazione genuinamente «Eurasiatica». La seconda rivoluzione culturale, nel senso di un movimento verso dell’Occidente europeo, fu operata dai bolscevichi. Il bolscevismo può essere considerato come un ulteriore «balzo» nella direzione dell’europeizzazione della Russia, benché anche a seguito di esso la Russia non divenne ancora Europa. Al contrario, il marxismo russo e il leninismo espressero vivacemente tutti i loro caratteri non europei ma puramente «Eurasiatici». A chiarimento del senso spirituale di queste due rivoluzioni, va sottolineato che Pietro voleva innestare in Russia le forme culturali dell’Europa esistente, contemporanea, mentre i bolscevichi incominciarono ad innestare in Russia le forme di un’Europa socialista, ossia futura, ideale, mitica, che in realtà non era mai esistita. La Russia bolscevica ha anticipato l’Europa in quanto ebbe l’idea di realizzare nei suoi confini una delle utopie sociali europee. Per ciò stesso in Russia il processo di imitazione dell’Occidente è inevitabilmente terminato. Per la Russia contemporanea l’Occidente è ideologicamente già esaurito. Al contrario, gli elementi rivoluzionari dell’Europa vogliono ora imitare la Russia, professando il celebre slogan: «Viva la nostra Rivoluzione d’Ottobre… Viva i Soviet!» - la Russia ha bisogno oggi di nuovi ideali. I primi Eurasisti lo hanno compreso e lo hanno formulato nei termini più netti ed esaustivi.

«Avendo liberato il nostro pensiero e il nostro sentimento del mondo dai paraocchi occidentali che li opprimevano – scrisse nel 1922 N.S. Trubetskoij – dobbiamo attingere in noi stessi, alla fonte degli elementi spirituali nazionali russi, gli elementi per la creazione di una nuova visione del mondo. In questo spirito dobbiamo educare anche la nuova generazione che sta crescendo. Al tempo stesso, pienamente liberi dalla venerazione verso il surrogato della civilizzazione occidentale, dobbiamo lavorare in tutti i modi alla creazione di una cultura nazionale originale, che sorga dalla nuova visione del mondo e al tempo stesso giustifichi essa stessa questa visione del mondo. In questa enorme opera onnicomprensiva vi è lavoro per tutti, non soltanto per i teorici, i pensatori, gli artisti e gli scienziati, ma anche per i tecnici, gli specialisti e i piccolo-borghesi ordinari. L’esigenza comune, manifesta a tutti, è una radicale svolta nella visione del mondo» («Sul cammino", Berlino 1922, p.314).

L’Eurasismo vuole superare l’Occidente non dall’esterno, non dall’interno – ma in quello stesso spirito dell’Occidente che è ora divenuto proprio anche dell’uomo Eurasiatico. Oggigiorno non solo la parte superiore della società russa è penetrata da princìpi occidentali, come era nella Russia pre-rivoluzionaria – oggi i più vasti strati del demos russo sono preda dell’attivismo, energetismo, produttivismo occidentali, del materialismo economico e dell’ateismo. Perciò il compito dell’Eurasismo diviene non solo nazionale, ma anche universale: il popolo russo deve in sé e tramite sé superare l’uomo occidentale, che ha diffuso la propria cultura sul mondo intero. Questo Eurasismo universale differisce dal fascismo, dal nazional-socialismo e dalle correnti simili, che rappresentano dottrine nazionaliste e non pongono di fronte a sé nessuno dei compiti dell’uomo universale.

Tale superamento è visto dall’Eurasismo nella «uscita ad Oriente», quindi nell'accettazione di quei valori che posero le basi delle culture orientali e vennero disprezzati e negati dal recente Occidente. Non si tratta di asiatizzare la Russia e il mondo intero, ma di erigere una nuova cultura nella sintesi compiuta di Oriente ed Occidente – la cultura Eurasiatica. Si può dire che questo appello ad Oriente risuoni non solo dalle labbra degli Eurasisti. Lo stesso Occidente, nella sua attuale crisi spirituale, incomincia a riferirsi in modo diverso all’Oriente, incomincia ad ascoltarlo con attenzione e tenta di comprenderlo. Con qualche diritto si può affermare che ora anche l’Europa inizia ad «Eurasistizzarsi», che ancora una volta sia posto in risalto lo scopo universale della dottrina Eurasista.[1]

In una certa misura, l’Occidente fu già spontaneamente superato dal bolscevismo, nonostante il carattere puramente occidentale dell’ideale marxista che ispirava i bolscevichi. Distinto dalla nuovissima Europa, caratteristico dell’Oriente si rivela quello speciale calore religioso, quella speciale atmosfera di fede di cui erano compenetrate le culture antiche ed orientali. Per generale ammissione, questa atmosfera di fede costituiva la fondamentale proprietà della vita spirituale della vecchia Russia. E va detto anche che questa non può essere cancellata dal marxismo russo, nonostante la predicazione ufficiale dell’irreligiosità.«La vita sarà bella, meravigliosa, noi costruiremo una vita assolutamente felice» - questo il motivo principale, che entusiasmava le masse rivoluzionarie del popolo russo. In nome di questa vita meravigliosa sono state fatte milioni di vittime. Il peso della realtà attuale russa è stato sopportato senza lagnanze e di slancio. E’ impossibile immaginare questi stati d’animo senza la presenza di una profonda fede in un prossimo paradiso terrestre – in ciò che i vecchi socialisti chiamavano la Nuova Gerusalemme, il nuovo regno di Dio in terra. E’ sufficiente dubitare per un istante della forza salvifica della comune, e l’intera costruzione comunista diviene inconcepibile. Cade la sua fondamentale premessa ideocratica, su cui esso poggia e resiste interamente. Il marxismo russo per il suo spirito è molto più simile al vecchio socialismo religioso degli inizi del XIX secolo, che al socialismo «scientifico». In Occidente questo socialismo religioso ha ispirato un ristretto numero di intellettuali, provenienti dall’ambito religioso cattolico (è il caso di Saint-Simon). In Russia esso attirò larghe masse del popolo e divenne un enorme movimento popolare. Ciò è forse possibile senza quella fede ardente di cui dicevamo?

     I saint-simonisti credevano che sarebbe venuto il tempo in cui l'industria sarebbe stata «l’autentico culto prima dell’Eternità». Si può dire che nella Russia contemporanea questo tempo sia già venuto. La fede nella vittoria finale del socialismo, come una specie di annunciazione assoluta, ha creato qui «la continua ascesa dell’entusiasmo delle masse proletarie» e generato quell’energia nella costruzione industriale che ha richiamato in vita un nuovo atteggiamento verso il lavoro produttivo nelle forme delle brigate, dell’emulazione socialista, ecc. Lo stato d’animo psicologico, infuso in queste masse, si manifesta in forme di pathos titanico, ispirazione e slancio, simili ad emozioni e sentimenti religiosi. Il produttivismo preso a prestito dall’Occidente è mosso in Russia non da motivi di egoismo personale, non dall’istinto per il vantaggio personale, ma da una qualche emozione collettiva, nella quale risorge il romanticismo della collaborazione comune, della causa comune e della solidarietà collettiva di tutti i lavoratori.
     In Oriente la personalità umana è stata sempre più legata all’insieme sociale, rispetto all’Occidente. L’Oriente era estraneo all’individualismo occidentale ed all’atomismo sociale, queste due pietre angolari della nuovissima cultura occidentale. La reazione contro l’individualismo in Occidente, espressasi nelle teorie sociali organiche, nelle concezioni della scuola storica del XIX secolo, nelle dottrine della sociologia occidentale, infine nel socialismo e nel comunismo occidentale, fu soltanto una corrente ideale, solo debolmente rispecchiatesi nel sistema delle attuali istituzioni e della reale vita sociale. La vita sociale in Occidente continua ad essere angustamente individualistica, fino al sorgere dei nuovi movimenti sociali di massa nella forma del fascismo e del razzismo. Ed è fuori discussione che, prima del sorgere di questi ultimi movimenti sociali, il bolscevismo russo ha radicalmente ricostruito una effettiva relazione fra l’individuo e la società, ha risolutamente posto fuori campo l’individualismo economico e politico. L’individualismo economico non ha mai avuto celebri avvocati difensori in Russia, non avendo mai goduto qui di popolarità e vasta diffusione le  dottrine del diritto naturale dell’uomo e del cittadino. Per la psicologia dell’uomo russo, ben più tipica fu la concezione secondo cui l’individualità è inestricabilmente legata alla società e trova giustificazione solo nel compimento di una qualche missione sociale, nella «causa comune». In questo modo il bolscevismo, al contrario del marxismo occidentale, non tentò di legarsi all’individualismo. Da cui la sua aspra negazione delle istituzioni liberali e democratiche dell’Occidente, la sua sfiducia nel diritto personale borghese e nel parlamentarismo europeo. Da quanto detto, anche la forte inimicizia del bolscevismo nei confronti della socialdemocrazia europea classica, verso tutto ciò che in russo è chiamato menscevismo. Al bolscevismo è persino possibile rimproverare che praticamente tutto, riguardo alla questione dell’individualità e della società, è stato risolto «all’asiatica», che il sistema politico ed economico del comunismo russo ha inesorabilmente riportato l'individuo al servizio dello stato, e che, in questo modo, ha peccato contro il precetto leninista dell'approccio dialettico alla soluzione della questione dell'individualità e della società. Tale soluzione dialettica non consiste nella diluizione dell'individuo nella società o, viceversa, nella cancellazione dell'esistenza autonoma della società nelle distinte personalità, ma nella sintesi dell'individuale e dell'universale, del privato e del sociale. A ciò si riduce anche la vera soluzione Eurasista a questo problema, che venne formulata dagli Eurasisti sia nelle loro concezioni economiche (sistema statale-privato), sia nella loro filosofia del diritto.
L'Eurasismo, infine, più di una volta ha dichiarato che nel comunismo russo veniva superato persino il materialismo economico di Marx, a dispetto del fatto che la dottrina della dipendenza dell'ideologia dalla base economica costituisca parte integrante degli articoli di fede leninisti. Nella prassi economica dei bolscevico-comunisti russi non è l'economia che definisce l'idea, ma al contrario, è l'idea, il piano, a governare l'economia. L'economia occupa una posizione subordinata in relazione al piano e, in tal modo, l'intero sistema riveste un carattere ideocratico. La falsità di un tal genere di ideocrazia si risolve nel fatto che l'idea dirigente stessa è in sé puramente «economicista». In essa non vi è nulla, al di fuori del culto della produzione in nome dell’ideale puramente egoistico della soddisfazione dei bisogni primari, dell’ideale della sazietà.  I bisogni spirituali, pur non venendo negati dai bolscevichi, non possiedono in verità alcuna esistenza autonoma nella teoria marxista. Il superamento del materialismo economico da parte del comunismo russo si dimostra quindi puramente formale, e nella sostanza il materialismo verrà superato in Russia soltanto quando in luogo del sistema di valori marxista verrà posto il sistema di valori Eurasista.

     A fondamento di ogni cultura stanno sempre alcuni valori spirituali, che riempiono gli edificatori della cultura di un pathos creativo ed esigono una costruzione e conformazione della vita adeguate a questi valori. Tali valori di solito non sono riconosciuti dai portatori di una data cultura. Si può dire che la cultura sia di solito il prodotto di una creatività subconscia, ed i valori alla base della cultura debbano dapprima essere scoperti dalla filosofia della cultura. [2]
     Tentativi non privi di interesse di definire i princìpi fondamentali caratteristici dei diversi tipi di culture sono stati compiuti da filosofi europei della cultura, Spengler e – in parte allineato a lui – Frobenius. Parliamo della nota contrapposizione fra l’uomo antico, apollineo, e l’uomo nuovo, europeo, «faustiano». Il primo era privo della sensazione dell’infinito, e non aspirava a padroneggiarlo. Amava isolarsi nel suo mondo ristretto, nella sua città, nei confini di spazi a lui solo accessibili. Era profondamente provinciale nelle sue manifestazioni culturali, nella sua religione, scienza, filosofia, ecc. Il secondo, l’uomo faustiano, al contrario vede l’infinito ed aspira ad esso; tutta la sua contemplazione del mondo è avvolta dalla sensazione dell’infinito, ed ad assoggettare l’infinito tende la sua attività. Variando in qualche misura il pensiero di Spengler, Frobenius riteneva che le due visioni del mondo caratterizzassero lo spirito dell’uomo orientale ed occidentale: il primo vive sentendosi come in una caverna, e non considera il mondo come la sua casa (Welthöle, Hölengefühl), il secondo vive nel mondo come nella sua casa ed avverte la sua infinità, la sua vastità (Weltweite, Weltgefühl). [3]
E’ degno di nota che ambedue i tentativi  citati si muovano lungo una linea di definizioni puramente dimensionali. Ciò deriva dal fatto che a compierli è stato l’uomo occidentale, che è immerso nella contemplazione dello spazio e comprende tutta la sua cultura come assoggettamento dello spazio e di tutto ciò che nello spazio è incluso. Ma ben lontano da tale via era, ad esempio, il rappresentante della cultura indiana, che avvertiva perfettamente l’infinità del mondo, ma non considerava il suo dominio puramente esteriore come un’acquisizione positiva! La contrapposizione spirituale fra i due fondamentali tipi culturali, orientale ed occidentale, non va espressa mediante queste definizioni esteriormente spaziali, ma tramite una conseguente antitesi metafisica, la cui conciliazione costituisce un compito storico della cultura Eurasista.

Trascendenti e immanenti

     Crediamo che non vi sia una contraddizione più intensiva e principiale fra le motivazioni vitali, propulsive in ultima istanza, di ogni creatività culturale, rispetto alla contraddizione fra l’aspirazione all’immanenza e l’aspirazione alla trascendenza. La relazione dialettica fra questi due concetti in fin dei conti definisce la contrapposizione fra Occidente e Oriente. L’Occidente, nei limiti della sua vita “in grande stile” da noi storicamente osservata, è sempre stato più immanente dell’Oriente. Ciò è assolutamente fuori questione per quanto riguarda gli ideali della nuovissima cultura occidentale, il cui problema fondamentale si riduce a «rinnegare il cielo e dominare la terra». Ed a colui che cominciasse a dubitare della nostra tesi in ragione dell’antica religiosità dell’Occidente è possibile additare l’indubbia immanenza dell’ideale cattolico della teocrazia terrena,  la fede nel quale pone un netto confine fra Oriente cristiano ed Occidente cristiano. Crediamo persino che meriti piena attenzione l’idea di Dostoevskij, secondo cui il nuovo socialismo occidentale in quanto idea del definitivo ordinamento ateo in terra, è geneticamente legata alla dottrina cattolica della teocrazia terrena. All’opposto – quale aspirazione alla trascendenza caratterizza i fondamenti della visione spirituale del mondo dell’Oriente! Ricordiamo persino l’acosmismo cinese e la filosofia indiana, ricordiamo la dottrina dell’estrema trascendenza della Divinità degli gnostici orientali, l’indifferenza orientale all’ordinamento terreno, il disprezzo di ogni economicismo e tecnica. Ed è indiscutibile che l’ortodossia orientale sia molto più incline alla trascendenza del cattolicesimo occidentale. La sua idea di teocrazia terrena non ha messo radici da noi, nonostante anche noi fossimo al tempo stesso alieni dall’idealismo del puro distacco. L’ortodossia orientale non ha negato la carne, ma ha richiesto la sua trasfigurazione. Esso non ha separato il mondo trascendente dalla materia, che ha nondimeno rappresentato illuminata dalla luce divina, trasformata nel risultato dell’atto mistico iniziale, più compartecipe dell'energia divina.[4] La dialettica della storia rivela adesso il mondo Eurasiatico alla fase estrema della fede in ideali immanenti. Il comunismo russo è l’ultima parola dell’infatuazione occidentale per l’immanenza, l’ultimo tentativo di costruzione del «paradiso terrestre». Ma più si avvicina il momento del famoso «salto dal regno della necessità al regno della libertà», più si indebolisce la chiliastica fede nella comune salvifica. Il comunismo diviene relativo, un affare terreno, politica quotidiana con le sue minute preoccupazioni e litigi. La fede che cinge la Russia come un fuoco ardente esige un nuovo oggetto, un nuovo contenuto. Giungono periodi in cui la «conquista della terra» esige non l’abdicazione del cielo, ma la sua nuova rivelazione. Di fronte al mondo Eurasiatico sta il compito della conciliazione fra la trascendenza nuovamente rivelata e la prassi terrena ereditata dal comunismo – il compito della conciliazione fra Oriente ed Occidente.

Quiete e movimento

     Gli ideologi della cultura occidentale glorificano l’attività dell’uomo occidentale, contrapponendola alla passività dell’uomo orientale.[5] E di fatto nessuna cultura ha mai sprigionato una tale quantità di energia come la cultura europea. Essa pare trovarsi in costante attività e in costante movimento. L’uomo europeo non conosce la quiete, ne ha vergogna. La vita delle grandi città europee, con il suo movimento nervoso, è il vero simbolo della cultura occidentale.
     In filosofia esisteva l’antichissimo dilemma: cosa è più elevato – il movimento o la quiete? L’uomo orientale ha preferito la quiete al movimento, l’uomo occidentale ha fatto la scelta opposta. L’atteggiamento dell’uomo orientale verso la quiete è radicato nelle basi profonde della filosofia orientale. La concezione dell’Oriente ha posto a fondamento del suo terreno un qualche centro immobile divino, «medium immobile», che dirige il mondo intero grazie alla sua «attività immobile» (Shun-yun per la filosofia cinese, con lo stato ad esso peculiare di «attività immobile – wei-kiu-wei; Es Sakir per il misticismo islamico; Pax Profunda per il misticismo posteriore).Comprenderemo la saggezza originaria di questa dottrina se noteremo che ogni mutamento e movimento sono immaginabili solo come processi in una realtà incompleta. La perfetta compiutezza della realtà non richiede mutamento, in quanto ogni cambiamento verso il meglio non le è necessaria, ed ogni altro cambiamento significherebbe la perdita di tale pienezza, il suo deterioramento. Un significato perfettamente identico si rivela anche nel puro movimento fisico o mutamento di luogo. L’essenza onnipresente non ha bisogno di muoversi o di mutare luogo, giacché anche in assenza di esso si trova in tutti i luoghi simultaneamente ed eternamente. Il movimento può anche essere considerato come manifestazione dell’aspirazione all’ubiquità, propria di un’esistenza limitata e relativa. Tale aspirazione è per sua natura profondamente dialettica. Nel suo movimento è come se il corpo volesse uscire dalla sua limitatezza spaziale, volesse essere non soltanto «qui» ma anche «là», ma senza mai riuscirvi: prendendo un nuovo posto, perde per ciò stesso il vecchio. Il movimento, divenuto essere, è tale aspirazione all’ubiquità, che mai può essere raggiunta. Raggiungerebbe il non essere quando possedesse velocità assoluta, ossia l’essere contemporaneamente «qui» e «là», il che già significa perdere il movimento. E’ impossibile muoversi in sé, come è impossibile saltare attraverso le proprie braccia. Tutto questo dimostra il vuoto metafisico e la sterilità del movimento, la sua genuina relatività. E tutto questo svela il vuoto finale di quella concezione del mondo che fa del movimento la categoria suprema.
     Il mondo Eurasiatico è oggi contaminato dalla spontanea aspirazione al movimento non meno della cultura occidentale. L’energetismo è divenuto l’ideale fondamentale della Russia comunista o, quanto meno, un ideale che le viene diligentemente e persistentemente inculcato. Nulla trasmette questo stato d’animo di moto perpetuo  affannoso ed estremo slancio energetico meglio di alcuni prodotti della letteratura sovietica (ad esempio «Tempo, avanti!» di Kataev). La semplice lettura di questi prodotti riempie l’animo di una sensazione quasi di eterna fretta, di una sorta di snervante inquietudine, di una specie di definita intensità di energia. Verranno, e forse già sono venuti, tempi in cui l’uomo Eurasiatico, stanco di questa danza quasi demoniaca, capirà la saggezza di una tranquilla contemplazione. Egli capirà che l’ideale religioso e metafisico finale è il «moto nella quiete», o «quiete mobile» – suprema generalizzazione dialettica del misticismo. Allora sarà giunta la conciliazione dell’opposizione fra l’Oriente «addormentato» con l’Occidente «energico».

Teoria e pratica

     La filosofia occidentale è stata per eccellenza teoretica. Essa ha coltivato la pura teoria, che per essa è stata quasi un «fine in sé». Questo spirito teoretico della filosofia occidentale può essere sentito leggendo le prime pagine della Metafisica di Aristotele e comparandola con qualsiasi antico trattato filosofico indiano o cinese. E se in Occidente esistette una filosofia non in quanto «pura teoria» ma in quanto dottrina della «salvezza» (Heilslehere), qui le influenze orientali sono indiscutibili (nei Pitagorici, in Plotino, nei neoplatonici, ecc.). In particolare, ogni conoscenza ha acquisito il carattere di teoria pura nella nuova Europa borghese, dove la scienza è divenuta pura teoria autosufficiente, separata dalla pratica, e dove la filosofia stessa ha aspirato a diventare scienza pura. In contrapposizione a ciò, la filosofia orientale ha sempre conservato un carattere «pratico», ha sempre perseguito un fine supremamente spirituale ed al tempo stesso attivo – proprio il fine mistico della liberazione e salvezza finale.[6] In questo senso esiste una certa somiglianza formale fra la filosofia orientale e la nota aspirazione di Marx a fondere la filosofia con la prassi ed a rendere pratica ogni conoscenza. Ma Marx pensò questa «prassi» in senso puramente materialistico, come tecnica, come pura trasformazione produttiva del mondo, come suo uso al fine di soddisfare i bisogni dell’uomo. Marx non conosce neppure quella teoria pura e filosofia pura che hanno mostrato brillantemente l’applicazione pratica del loro punto di vista in Russia. La filosofia sovietico-marxista è meno di ogni cosa «teoria pura» – no, essa è un mezzo della lotta di classe, un metodo di propaganda comunista, un mezzo per condurre con successo quella che è definita «linea generale» politica del partito dirigente. La Verità teoretica e filosofica è qui sostituita dalla convenienza di classe e dall’idea di successo tecnico.
     Propria dell’Eurasismo è l’aspirazione ad accostare la scienza alla pratica, a combinarla nel processo di produzione, a dotarla di un carattere di laboratorio. Ma a sua volta la conoscenza tecnica non può possedere un carattere autosufficiente. La tecnica deve stare al servizio di fini superiori, la cui conoscenza non viene raggiunta né in laboratorio né nel processo produttivo. Tali fini vengono conosciuti nella direzione spirituale, che al tempo stesso rappresenta un’attività spirituale. Il materialismo economico non sa nulla di tale conoscenza e non la insegna. Esso crede ingenuamente che siano sufficienti gli interessi di classe egoistici degli oppressi e dei poveri, non solo per ispirare al mondo la trasformazione della natura materiale, ma anche per trasformare praticamente tale natura. Solo allo spirito trasformato può svelarsi il modo di trasformare la materia. La sola chimica di questo compito non è risolutiva, persino quando si fonda con la produzione. L’Eurasismo in questo punto aspira a sintetizzare l’idea di conoscenza attiva nei suoi significati orientale ed «occidentale», marxista.

     E’ possibile esprimere quanto detto nel modo seguente: l’Eurasismo accetta completamente quella causa immanente che già ora con grande energia agisce in relazione alla costruzione economica, sociale e politica del particolare mondo dell’Eurasia. Esso desidera intensificare e rafforzare quest’opera, accordandola consapevolmente e coerentemente con le sue proprietà originarie ed originali e con i tratti distintivi del mondo Eurasiatico. Ma esso mira a consacrare questa intera opera e ad intenderla come aspirazione alla trascendenza, sul cui piano l’uomo-creatore non è diverso dall’aiutante di Dio.
     L’Eurasismo è esso stesso movimento, ed apprezza il movimento. Ma non è d’accordo con il movimento trasformato in affanno, visto come una sorta di ideale finale. Esso comprende che il mondo, per la sua imperfezione, è destinato al movimento. L’Eurasismo ascolta con comprensione le leggi del movimento ed aspira a farne pieno uso. Ma dall’abisso del movimento esso apprende ed ascolta anche quel mondo di «attività immobile» in cui è beneficamente cancellata e superata l’imperfezione gravante su di noi.
     Gli Eurasisti sono tutti nella pratica. Ma la «pratica pratica» è per essi soltanto uno stadio ed una via verso la liberazione e la salvezza finale.
     Così essi combinano un definito sforzo nelle questioni di questo mondo – la cui conoscenza negli ultimi secoli è stata espressa con singolare forza dall’Occidente – con la conservazione dei vivi e potenti valori perenni dello Spirito Orientale.
     In questo modo preparano la futura – Eurasista - sintesi storica.
     Sarebbe possibile proseguire in questi parallelismi, ma crediamo che quanto detto basti ad affermare un pensiero già espresso in una delle prime pubblicazioni Eurasiste: «Noi siamo metafisici, ed al tempo stesso etnografi e geografi». Non è applicabile a noi la definizione con cui il conte Kaiserling ribattezzò comunismo, fascismo e razzismo. Non siamo «tellurici» – o, per meglio dire, siamo più che tellurici. Siamo per «il balenare dell’impero dell'essenza spirituale», per «l'incarnazione della fede nella concreta religione vivente e nell'azione».
 

Note dell'autore

1.   Riferirò come più caratteristico esempio un frammento di un recente testo filosofico: «Ci sembra difficile che l’Occidente, per la sua mentalità e l’insieme delle sue tendenze, continui ad allontanarsi sempre più dall’Oriente, come fa ora, senza che prima o poi si produca una reazione che potrebbe avere, a certe condizioni, i più benefici effetti; ci sembra anzi tanto più difficile in quanto la sfera in cui si sviluppa la civiltà occidentale moderna è, per sua natura, la più circoscritta di tutte». Cfr. Réné Guénon «Introduzione generale allo studio delle dottrine indù», 1932, p.328. Notiamo che l’autore appartiene all’ambiente cattolico. Cfr. anche il nuovo libro in lingua tedesca di Richard Windelband, «L’uomo e l’essere», che è interamente ricolma di un originale «umore Eurasista».

2. . Cfr. il mio «Teoria dello stato», p.56.

3. L.Frobenius, «Dal folklore alla filosofia», 1925.

4.   In questo rispetto, acquista particolare rilevanza la dottrina della «energia divina» di Gregorio Palama (noto teologo e mistico bizantino del XIV secolo).Le opinioni di questo illustre teologo sono a tal punto distanti dall’Occidente, e da esso inaccettabili, che l’editore cattolico di alcune opere di Palama ha fatto precedere l’edizione da un’avvertenza, scusandosi di fronte all’opinione pubblica cattolica. Cfr. Minne, «Patristica», t. 151, p.551.

5.   Cfr. ad es. Massis, «In difesa dell’Occidente», 1927. Interessanti in questa prospettiva le opinioni di H.Bergson, nel suo ultimo libro «Due fonti della morale e della religione», 1932, p.235, e il capitolo finale «Meccanica e mistica».

6.   Le obiezioni rivolte contro questo punto da Walter Buben, «Metafisica greca e indù», in Rivista di indologia e iranistica, t.8 2a ed., 1931, non colgono nel segno, come dimostra convincentemente O.Lacombe nella postfazione al libro del gesuita H.Dundee, «Ontologia del Vedanta», 1932.Cfr. anche l’equilibrato ragionamento di J.Maritain nell’introduzione al suo libro su Bergson.
 

Tratto da: N. Alekseev, The Russian People and the State [Russkii narod i gosudarstvo], Agraf, Mosca 1998.