Philip Stein: “In Germania c’è un’Alternativa all’invasione.”
In Germania è già da tempo in atto un fenomeno interessante che sta mettendo in subbuglio la prima economia europea. La politica delle porte aperte, fortemente voluta dalla Merkel, si è rivelata inaspettatamente un boomerang. Diciamo “inaspettatamente” perché per decenni i tedeschi sono stati praticamente educati all’apatia politica: manifestazioni spontanee di massa se ne sono viste pochissime, e comunque erano quasi tutte organiche al pensiero dominante. Per non parlare, poi, di manifestazioni di orgoglio nazionale, che si potevano tradurre al massimo (e comunque viste sempre con occhio critico) nei festeggiamenti per la vittoria della nazionale di calcio. Festeggiamenti che assumono molto spesso forme barocche e parossistiche, proprio perché tradiscono una repressione costante di quell’identità di popolo che, trovando finalmente una valvola di sfogo, si esprime poi in maniera scomposta.
Tuttavia, a rompere il ghiaccio e l’apatia, è stato per primo il movimento di Pegida, che ha portato regolarmente in piazza e nelle strade decine di migliaia di persone che scandiscono il motto wir sind das Volk, “noi siamo il popolo”. A tutto questo si è aggiunta la rivolta di numerosi intellettuali tedeschi che hanno criticato la Merkel e le sue politiche immigrazioniste. Da ultimo è invece giunto il recente successo elettorale dei populisti dell’Afd, che è diventato il terzo partito del paese. Perciò non trascorre un giorno in cui tv e giornali non facciano qualche inchiesta sugli ambienti della destra tedesca e non paventino un ritorno del “passato che non passa” (E. Nolte). Per capire meglio che sta succedendo in Germania, abbiamo intervistato Philip Stein, giovane esponente della cosiddetta “nuova destra” tedesca.
Ciao Philip. Ci potresti presentare brevemente le tue esperienze politiche? Quali sono i tuoi riferimenti politico-culturali?
Al contrario di molti miei compagni di lotta, io mi sono approcciato relativamente tardi alla politica o, meglio, al pensiero di destra. Quando ho iniziato a studiare storia e filosofia all’Università di Marburgo, ho da subito aderito a un’associazione studentesca, la confraternita marburghese “Germania”, che ha rappresentato per me una palestra politica e che mi ha iniziato alla cultura di destra. In questo periodo, cioè nell’inverno del 2011, ho cominciato anche a pubblicare in vari giornali e riviste di destra, sia in Germania che in Austria e oggi, tra le altre cose, sono un collaboratore indipendente della più importante rivista della “nuova destra” in Germania, ossia Sezession. Qui mi sono dedicato a tematiche controverse come l’ecologia e la decrescita oppure il superamento degli stati nazionali in favore di un autentico impero europeo (di qui la pubblicazione del volume Junges Europa, cioè Giovane Europa), le quali hanno suscitato grandi dibattiti negli ambienti di destra in Germania. Negli ultimi cinque anni sono stato attivo in veste di libero collaboratore e relatore, tra le altre cose, anche presso l’Institut Iliade di Parigi e, inoltre, ho rivestito la carica di vice-portavoce della Deutsche Burschenschaft, la più grande federazione delle confraternite di destra. Nell’ottobre 2015, poi, dall’attività di scrittore è nato il mio impegno per una operazione istituzionale e strutturata: l’iniziativa civica e piattaforma di collegamento di destra Ein Prozent (Un percento), di cui sono il direttore. Ma di questo avremo modo di parlare più avanti. Quest’anno, inoltre, con la fondazione di una casa editrice dal respiro europeo, la Jungeuropa Verlag, vedrò infine coronarsi un sogno. Per quanto riguarda i miei riferimenti politico-culturali mi richiamo per esempio a Pierre Drieu la Rochelle, Robert Brasillach, Dominique Venner, Maurice Bardèche oppure a Oswald Mosley. Allo stesso modo potrei citare Ernst Nolte, Bogislav von Selchow, Ernst von Salomon, Ernst e Friedrich Georg Jünger, Herbert Gruhl e Paul Krannhals – ma anche Rudi Dutschke [capo negli anni Sessanta e Settanta della contestazione studentesca di sinistra; ndr]. Nell’ambito delle ricerche per il mio libro Junges Europa: Szenarien des Umbruchs [Giovane Europa: scenari di una frattura rivoluzionaria] ho inoltre imparato ad apprezzare personalità come Giuseppe Mazzini e Giovanni Gentile. In generale, come si può vedere, i miei riferimenti sono connotati in senso europeo. Infine vorrei menzionare l’editore tedesco Götz Kubitschek, con cui nell’ultimo anno ho collaborato a stretto contatto e che ha fortemente influenzato il mio lavoro e la mia visione della politica: per molti giovani di destra è un po’ come un nuovo Armin Mohler o un nuovo Ernst Jünger.
Recentemente i media tedeschi l’hanno ripetuto molto spesso: “La Germania va a destra”. Il movimento Alternative für Deutschland [Alternativa per la Germania], generalmente definito “di destra populista”, è ora diventato il terzo partito e potrebbe addirittura trasformarsi in un “Volkspartei”, cioè un partito di massa o di popolo. Insomma, che cosa sta succedendo in Germania?
Che la Germania stia politicamente “andando a destra” lo negherei con certezza. Una tale svolta a destra, infatti, dovrebbe necessariamente implicare un profondo cambiamento sociale per meritare un titolo del genere, che presupporrebbe a sua volta un radicale cambiamento al livello delle coscienze da parte dei ceti borghesi. Il cittadino dovrebbe riconoscere in questo caso che i problemi delle società occidentali – e in primo luogo della Germania – sono molto più profondi e ben radicati nella nostra cultura, già a partire dal 1945. Questa presa di coscienza, questa consapevolezza della chimera liberal-capitalistica non è più avvertita in Germania ormai da lungo tempo. Una gran parte delle masse in crisi non si augura altro che un ritorno alla vecchia Repubblica federale, quindi pochi stranieri, economia forte e vita ordinata e tranquilla. Alla base di questa protesta, invece, non risiede alcuna svolta di destra delle coscienze. Purtuttavia si sta assistendo oggi in Germania a un processo interessante, il quale può essere interpretato come una reazione difensiva naturale e subconscia all’invasione di massa di elementi stranieri nel proprio Paese. I tedeschi, che dal 1945 errano oramai nella storia come un popolo castrato, senza il benché minimo amor proprio e senso di appartenenza (sentimento o orgoglio nazionale), stanno cominciando lentamente, ma con forza, a riscoprire che la difesa della propria identità – suscitata dal “nemico esterno”, cioè dall’immigrazione di massa – è un diritto legittimo. Personalmente descriverei la situazione politica attuale e l’atmosfera che si respira tra il popolo come un grande disagio, come un risveglio subconscio delle forze difensive della nazione. Una vera e propria presa di coscienza di sé non è purtroppo riscontrabile in questo processo, ma è già un inizio. Le proteste e le manifestazioni da parte della cittadinanza, che – soprattutto nelle regioni orientali della repubblica – hanno luogo quasi quotidianamente contro l’immigrazione illegale di massa, dimostrano che tra il popolo si respira un grande malumore e, inoltre, che la fiducia nei confronti del governo Merkel sta sempre più svanendo. Nell’est (cioè nella ex Ddr) per le persone si tratta soprattutto della preservazione della propria cultura regionale e del futuro dei propri figli, laddove ad ovest ci si preoccupa purtroppo solo del proprio conto in banca e della qualità della vita. Pertanto è assolutamente necessario parlare a questo riguardo di un profondo divario tra est ed ovest.
Come descriveresti al pubblico italiano Alternative für Deutschland (Afd)? Che cosa vuole questo partito? Da dove viene il suo successo? Chi l’ha votato, e perché?
La Afd è nel complesso soprattutto il partito del centro borghese, il quale non sostiene la “gioventù radicale” (cioè militante), bensì il cittadino patriottico e “preoccupato” [questo termine è stato utilizzato dagli aderenti di Pegida per descrivere sé stessi ed è presto diventato una specie di motto molto popolare; ndr]. Questo partito intercetta con i propri temi proprio quelle masse in crisi che ho descritto poc’anzi. Un paragone con il Front National o con la Fpö austriaca è certamente azzeccato, poiché sia l’habitus politico che l’elettore-tipo sono molto simili. La Afd definisce sé stessa come un “partito di popolo” o come il “partito del buon senso”. Tutto questo significa, in parole povere, sicurezza interna, confini sorvegliati, re-immigrazione, rafforzamento del patriottismo tedesco, più democrazia diretta e crescita economica. Se parliamo della visione politica dell’Afd, si tratta pertanto pur sempre di un comune denominatore di stampo borghese e conservatore e del desiderio di un ritorno alla vecchia era della Repubblica federale [in Italia diremmo “ai tempi della Dc”; ndr] e della vita ordinata e tranquilla. Per la gioventù di destra, per i movimenti al di fuori del parlamento, il programma della Afd non rappresenta quindi nessuna vera alternativa, anche se i mass media tentano di veicolare quest’immagine. Nondimeno l’Afd sta contribuendo ad espandere la cassa di risonanza a destra e a dilatare i confini di quello che si può fare e si può dire, e rappresenta perciò agli occhi di tutti gli ambienti di destra una specie di “ariete democratico”, rivelandosi in questo molto prezioso. Purtuttavia il già menzionato divario est-ovest è anche in questo caso decisivo. Mentre infatti le sezioni delle regioni orientali stanno proponendo un orientamento politico nettamente nazionale e cooperano ampiamente con la nuova destra o, meglio, attingono alle sue elaborazioni culturali, il partito è connotato ad ovest in senso chiaramente piccolo-borghese e sostiene prevalentemente gli interessi economici del ceto medio. Dalla prospettiva di un’opposizione di destra sono quindi le strutture del partito ad est che possono essere definite promettenti. In questo senso è meritevole di menzione Björn Höcke (presidente della sezione al parlamento regionale della Turingia), che con la sua politica spiccatamente e sinceramente nazionale si è conquistato il rispetto di molti movimenti di destra. Per questo motivo non sono mancate critiche provenienti dall’interno del suo partito. Höcke e i suoi compagni di lotta delle regioni orientali vedono nell’Afd innanzitutto un “partito movimentista” e vogliono portare il malumore dei cittadini dai parlamenti nelle strade. Qualora Höcke dovesse alla lunga affermarsi, l’Afd potrebbe diventare sempre più interessante per i gruppi al di fuori del parlamento. Per il resto, il successo dell’Afd si spiega molto facilmente. La già menzionata inquietudine del popolo è in cerca di una valvola di sfogo in parlamento. I cittadini si difendono contro l’immigrazione illegale di massa facendo ricorso al voto elettorale, al fine di dimostrare alla Merkel che hanno perduto la fiducia in lei. Il cittadino tedesco, in effetti, non rinuncia neanche in tempi di decadenza alle sue specchiate virtù prussiane e, di conseguenza, si attiene con solerzia al regolamento dello Stato. Si reca pertanto a votare e traccia la croce sul simbolo dell’Afd.
All’interno dell’Afd ha avuto luogo, circa un anno fa, una feroce lotta intestina, da cui Frauke Petry è uscita vincitrice ai danni di Bernd Lucke. Che cos’è cambiato con questo avvicendamento alla guida del partito?
La vittoria della Petry per la conquista della leadership interna è stata molto importante, perché per la prima volta è riuscita a imporsi la corrente di destra di un partito degno di nota. Grazie al successo della Petry si è affermata nell’Afd una “rivoluzione dal basso” che ha consentito di liquidare gli opportunisti e i normalizzatori liberali. Bernd Lucke ha cercato di impedire con tutte le sue forze che il partito imboccasse la via di una vera opposizione e ha contestualmente tentato di traghettare l’Afd secondo il vento del mainstream, con lo scopo di trasformarla in una sorta di “Cdu di destra”. Con lui alla segreteria, il partito sarebbe diventato presto o tardi la stampella dei partiti dominanti. Grazie a questa “rivoluzione dal basso”, invece, l’Afd ha potuto fare tabula rasa e dispiegare il suo vero potenziale.
La Cdu è il partito uscito sconfitto delle elezioni regionali, gli elettori hanno bocciato la politica dell’accoglienza varata e sostenuta dalla cancelliera. Tuttavia, non sembra esserci al momento una credibile alternativa alla Merkel. L’Afd potrebbe effettivamente profilarsi come un avversario affidabile dell’establishment politico? Insomma, in che direzione va la politica tedesca?
Io sono fermamente convinto che la crisi politica in Germania e in Europa – in particolare la fine dell’immigrazione illegale di massa – possa essere risolta unicamente al di fuori delle aule parlamentari. Il popolo deve recuperare o, meglio, riconquistare la sua funzione sovrana e imporre nelle strade un cambio di rotta. Al limite anche con azioni di boicottaggio e di disobbedienza civile. In tutto questo l’Afd svolge il ruolo dell’alleato che siede in parlamento e, se veramente vuole essere un “partito di popolo”, deve sostenere gli interessi del popolo in parlamento. Può fare opposizione parlamentare, non prendendo però le distanze dalle manifestazioni e dai movimenti di cittadini presenti in piazza, ma formulando invece interrogazioni e proposte di legge intelligenti e concrete, finanziando l’opposizione fuori dal parlamento e magari partecipando in prima persona, da vero “partito movimentista”, alla mobilitazione delle masse. Movimenti organizzati di cittadini e Afd devono dunque collaborare a stretto contatto e anzi fondersi in maniera inscindibile. Cioè che la protesta dei cittadini riversa nelle strade deve poi essere sostenuto dall’Afd in parlamento. Nell’ambito di una “rivoluzione dal basso” l’Afd può essere sempre una componente fondamentale, ma non deve mai pretendere di esserne il portavoce di ultima istanza. Che questa difficile fusione possa riuscire in uno Stato fantoccio come la Repubblica federale tedesca è, ovviamente, un altro paio di maniche. Pertanto dobbiamo sempre sorvegliare non solo l’operato della Merkel, ma anche – seppur benevolmente – quello dell’Afd, non smettendo mai di ricordarle le sue radici. Il compito dei movimenti organizzati fuori del parlamento deve essere quindi quello di tenere il partito il più a lungo possibile lontano dalla decadenza. Che questa decadenza prima o poi sopraggiunga è fuor di dubbio, rientra anzi nell’essenza stessa della democrazia parlamentare. Götz Kubitschek ha descritto questo processo con notevole lucidità: «Chi è impegnato in una battaglia contro l’oligarchizzazione dell’Afd, sia avvisato: può trattarsi nel migliore dei casi solo del rallentamento del normale decorso di un processo fisiologico, ma mai di un arresto sostanziale. Quanto tempo dovrebbe impiegarci per succedere? Non ne ho idea, ma è una fatica di Sisifo il voler mantener fluida un’acqua che comunque sta gelando. Staremo a vedere se quelli che lasceranno liberi i loro scranni a Stoccarda, Magonza e Magdeburgo, saranno sostituti da coloro che effettivamente tengono di più agli interessi del loro popolo e della loro terra, invece che soltanto a sé stessi».
Ci siamo soffermati molto sull’Afd, ma questo partito non rappresenta che la punta dell’iceberg. In Germania sono infatti presenti numerosi movimenti e think-tank “non conformi”. Esempi sono in questo senso Pegida e i circoli culturali della “nuova destra”. Malgrado la forte ostilità dei media, questi fenomeni stanno mietendo diversi successi. Come spiegheresti questa dinamica?
Effettivamente, i gruppi non conformi stanno registrando una grande crescita. Innanzitutto si osserva in Germania la continua espansione e diffusione di diversi movimenti di cittadini a livello regionale. Nell’est della repubblica quasi ogni regione – a volte addirittura ogni piccola cittadina – ha organizzato nel frattempo propri gruppi di protesta che manifestano con regolarità. Qui stiamo assistendo a un fenomeno interessante che in Germania era sinora completamente sconosciuto: la politicizzazione e la mobilitazione attiva della società borghese. Sono prevalentemente padri di famiglia, impiegati e professionisti di mezza età che stanno dando un grande impulso a queste proteste popolari. In base all’estrazione sociale dei partecipanti prendono dunque forma le tematiche e le richieste che poi in buona parte spingono gli elettori a votare l’Afd. In secondo luogo, possiamo osservare però anche la forte crescita dei movimenti non conformi che vengono animati dalla “gioventù radicale”. In questo senso un fulgido esempio è rappresentato dal gruppo identitario “Kontrakultur Halle”, che grazie alle sue azioni innovative e alla sua tempra è diventato un modello per altri gruppi in Germania. Inoltre, quando l’indiscusso think-tank della “nuova destra”, l’Institut für Staatspolitik, organizza attività e conferenze, le sale degli eventi sono ormai stracolme. Per farla breve: la “nuova destra” in Germania ha ora il vento in poppa e riesce ad entusiasmare quella parte della gioventù che è in cerca di un’alternativa radicale alla grande menzogna liberale. Una tale tendenza si può spiegare facilmente in questa maniera: la realtà conferma giorno dopo giorno, sempre più chiaramente, ciò che gli intellettuali di destra sostengono e scrivono da decenni.
Un progetto interessante, che si sta facendo conoscere sempre meglio, è anche Ein Prozent, di cui tu sei il direttore. Ma che cos’è più nello specifico Ein Prozent, e che cosa si propone di fare?
Per connettere tra di loro i movimenti popolari sorti di recente in gran numero, per organizzare il sostegno finanziario, giuridico e strutturale e, quindi, per garantire un’assistenza globale alla resistenza civica borghese, è stata fondata nell’ottobre del 2015 l’iniziativa popolare L’un percento per la nostra terra. L’idea è semplice, ma chiaramente formulata. Sul suo sito è così riassunta: «La nostra visione: migliaia di aderenti forniscono sostegno alle nostre azioni giuridiche, mediatiche e politiche, diffondono informazioni che non si trovano nei media e si difendono nelle loro comunità contro il disfacimento del nostro Stato. […] Abbiamo bisogno dell’un percento dei tedeschi, niente di più. L’un percento è sufficiente! L’un percento significa non più di 80 sostenitori da Meßkirch, 250 da Naumburg, 580 da Francoforte sull’Oder, 1000 da Treviri e 5000 da Dresda. L’un percento per la Germania? Fattibile! È ora di cominciare – creativi, solidi finanziariamente e così grandi che non sarà più possibile ignorarci. Chiunque abbia a cuore la propria terra può unirsi a noi». L’idea di integrare l’un percento dei tedeschi alla resistenza popolare si coniuga con la formulazione di richieste chiare. Innanzitutto viene preteso un minimo di capacità statale, che per ogni Stato dovrebbe essere ovvio e non negoziabile: il ristabilimento e la tutela del proprio ordinamento giuridico. Inoltre, e parallelamente, viene pretesa la sicurezza dei confini nei confronti degli ingressi illegali di stranieri nel nostro paese, la registrazione e la conseguente espulsione di tutti coloro che sono entrati illegalmente, la tutela dei beni pubblici e privati così come un dibattito aperto su come dovrebbe essere la Germania tra 10, 20, 50 anni. Al contrario di associazioni di protesta come Pegida, l’iniziativa popolare Ein Prozent non organizza proprie manifestazioni, ma riunisce invece tutte le varie proteste civiche sotto un’unica bandiera. Si punta quindi al sostegno mirato dei gruppi regionali e autentici così come delle proteste che, da una parte, sono rivolte contro la fallimentare politica immigratoria della Merkel e, dall’altra, intendono tematizzare concreti problemi a livello regionale. Solo così è infatti possibile coinvolgere e mobilitare tutti i ceti sociali. Attualmente la nostra iniziative sostiene gruppi di protesta in oltre 50 città: offre consulenze strutturali e giuridiche e aiuto economico. Vengono promosse figure di riferimento e azioni esemplari come il blocco di un centro di prima accoglienza a Chemnitz-Einsiedel, che è durato ininterrottamente per 100 giorni, ma anche numerosi gruppi che si stanno costituendo nella Germania occidentale. Grazie a una banca dati, che sinora ha raccolto gli indirizzi di circa 30 mila iscritti, ulteriori cittadini vengono poi messi in contatto e collegati politicamente. Il collegamento è la priorità. Un primo bilancio è già positivo: in quasi ogni Land, corposi gruppi di persone si sono incontrati e progettano le prime proteste concertate. Ai gruppi che si sono organizzati sono stati distribuiti finora – calcolando tutto il territorio tedesco – circa 250 mila volantini. Inoltre, una nostra troupe televisiva professionale documenta le proteste esemplari e accompagna le manifestazioni con la videocamera. In questo modo prende corpo il concetto di una contro-società (Gegenöffentlichkeit). Su youtube è possibile visitare il nostro canale con numerosi video. Ein Prozent è, insomma, una specie die “Greenpeace per la Germania” o di “Rote Hilfe” [“aiuto rosso”] di destra.
Un’ultima domanda. Dopo la Francia con Marine Le Pen, anche la Germania potrebbe aver trovato un partito di popolo che si pone contro l’Unione Europea, ma al contempo, diversamente dall’Ukip di Farage, per un’Europa futura e migliore. Forse una piccola rivoluzione è in atto: alcuni europei non vogliono la “grande sostituzione” e stanno tentando di ribellarsi. Si può in qualche modo parlare di un “risveglio” dei popoli europei?
Io sono purtroppo molto scettico quando si tratta del “risveglio” degli europei. In molti Stati del nostro continente, che sono stati edificati sulle sabbie mobili del liberalismo, stiamo assistendo senza dubbio a un destarsi del disagio nei confronti della politica dominante in relazione al “nemico esterno”, cioè l’immigrazione illegale di massa. Ma che cosa succederebbe, se questa crisi venisse momentaneamente arrestata? Il nostro obiettivo non può essere quello di ritornare a uno stato di letargia e di presunta sicurezza. Quello che ci serve in prospettiva è, invece, una profonda svolta al livello delle coscienze delle persone e, insieme, la fine del liberalismo occidentale. Tutti i giovani movimenti non rappresentati in parlamento dovrebbero approfittare dell’occasione propizia per crescere in termini di forza, esperienza e carattere. Verrà infatti il tempo in cui bisognerà impedire agli europei di ripiombare nella letargia. Una fine del predominio liberal-capitalistico può essere realizzata solo se riusciremo a unirci su scala europea. Pierre Drieu la Rochelle ha formulato questo obiettivo in modo molto appropriato: «Non vogliamo alcuna vittoria elettorale o alcun successo accademico: noi vogliamo la rivoluzione come evento, in cui si fondono pensiero e azione».
Intervista e traduzione a cura di Ettore Ricci
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