Papa Francesco e la Chiesa “Woke” del collasso
Doveva essere la Roccia. Il successore di Pietro. Quello che abbiamo avuto è stato uno slittamento, un sospiro, una morbida decomposizione vestita di bianco. Il Vaticano ha smesso di essere una fortezza ed è diventato un campo profughi, con i cancelli spalancati per ogni straniero, ogni non credente, ogni voce che chiedeva di entrare con proteste e rumori moraleggianti. Papa Francesco ha parlato a colpi di hashtag e di parole, chiedendo scusa per i peccati dell'Occidente a coloro che hanno bruciato le sue cattedrali. Il peccato si è dissolto in sofferenza. L'ordine è crollato nell'empatia. Il Vangelo di Cristo si è trasformato in un manuale delle risorse umane per il Sud globale, distribuito come opuscoli a un pranzo di Davos. Papa Francesco si è inginocchiato davanti alla telecamera. Ha pianto per i “non documentati” mentre i non nati sono stati dimenticati.
Il pastore della tradizione si è allontanato dall'archivio sacro. Le messe in latino sono state limitate. Le ombre barocche dell'incenso e del senso di colpa si sono disperse. Al loro posto sventolavano le bandiere arcobaleno in Piazza San Pietro. Ha fatto discorsi sull'“inclusione”, ha predicato la “tolleranza”, ha insistito perché la Chiesa “accogliesse” coloro che l'avrebbero disfatta. Le sue parole sul clima assomigliavano a quelle dei burocrati di Bruxelles. Le sue opinioni sul capitalismo riecheggiano quelle dei leader sindacali di Buenos Aires. Sulle frontiere, ha parlato come se serrature e soglie non fossero mai esistite. Le sue encicliche rispecchiavano i libri bianchi delle Nazioni Unite. Nella sua enciclica Fratelli Tutti, ogni fratello era reso uguale, ogni anima era schiacciata nell'uguaglianza. Il divino è diventato equità. Il Corpo di Cristo è stato sezionato in ONG e quote di migranti.
Fratelli Tutti era la sua lettera d'amore al mondo, non quello livido dei santi e dei martiri, ma quello senza confini dei burocrati sorridenti e corrotti. Niente sangue, solo fratellanza come previsto dalla Rivoluzione francese. Il testo sanguinava empatia, disarmava ogni difesa, battezzava lo straniero in sciroppo e teoria. Non c'erano più nazioni, solo “vicini” che si estendevano attraverso deserti e oceani come una preghiera diventata ferale. La sovranità? Un'eresia. L'identità? Un inconveniente. La guerra era peccato, la gerarchia era peccato, il capitalismo era peccato - ma la diluizione del sacro? Quella era misericordia. Papa Francesco ha borbottato l'unità e ha cancellato il nome di tutti i popoli che un tempo si erano inginocchiati davanti alle croci scolpite dai loro antenati. L'ha chiamata fraternità, ma puzzava di resa.
L'immigrazione clandestina è diventata la sua crociata. Ha descritto i muri come non cristiani. Eppure il Vaticano ne è circondato. Le porte del Paradiso restano chiuse agli impuri. Quegli insegnamenti erano forse metafore? I confini non sono più sacri? Ha lavato i piedi ai migranti, ma mai ai fedeli dimenticati. I suoi castighi si sono abbattuti sulle nazioni occidentali - quelle che hanno costruito le cattedrali che lui ha ereditato. Si allineò con le forze che stavano disfacendo l'Europa. Dove altri vedevano l'invasione, lui immaginava il pellegrinaggio. Dove altri mettevano in guardia dall'illegalità, lui lodava l'anelito. Questo era il credo dell'universalismo, privato del giudizio. Il discernimento abbandonato, il caos abbracciato.
Ha sorriso agli uomini che indossavano rossetto e pizzo, li ha accolti non come peccatori in cerca di redenzione ma come profeti incompresi di una nuova “inclusività”. Papa Francesco - che una volta ha chiesto: “Chi sono io per giudicare?”. - è diventato il confessore del mondo moderno degenerato - invece di ascoltare i peccati, li ha cancellati. Sotto il suo regno, le unioni civili di coppie dello stesso sesso sono state elogiate, non solo tollerate, e la sacra istituzione del matrimonio è sfumata in un riconoscimento burocratico di convenienza emotiva. Ha incontrato gli attivisti transgender, ha benedetto i loro viaggi e, con ogni gesto, ha scalfito il vecchio altare di pietra. Il catechismo parlava ancora di disordine, ma il suo tono lo annegava, morbido e misericordioso, il tono di un pastore che conduce le sue pecorelle dritte nella nebbia della decadenza e del declino.
In rete, i suoi difensori si sono moltiplicati come la muffa nella cripta di una cattedrale. I meme acclamavano la gentilezza papale, l'umiltà papale, i tweet papali. È diventato un marchio, un pontefice “progressista” che parla correntemente di slogan. Ha onorato Greta Thunberg come una santa. Il mistero ha lasciato il posto allo spettacolo. La liturgia digitale ha sostituito quella antica. Gli hashtag sono andati alla deriva dove un tempo sorgeva l'incenso. Ha fatto tendenza per aver piegato il credo. L'algoritmo lo santificò. Le telecamere lo hanno amato. Gli atei hanno accolto con gioia le sue interviste. Metteva in discussione i dogmi e mai le ideologie. Quando parlava del diavolo, nominava il razzismo, il sessismo, il capitalismo - mai il marcio che si insinuava sotto le vesti della Chiesa.
Quando un papa abbraccia il mondo, la Chiesa diventa il suo burattino. Questa è stata la sua eredità. Ha proclamato l'inclusione scartando il Vangelo. Il suo papato si è svolto come una resa. L'armatura non c'è più. Spada arrugginita. Fuoco spento. Ha offerto scuse e compromessi. Mentre lui piangeva per il vento, la cattedrale si sgretolava. Ora che non c'è più, il fumo sale ancora, incerto, pesante. Il trono rimane occupato ma profanato. La Chiesa deve svegliarsi dal delirio. Deve ricordare che l'amore staccato dalla verità è un tradimento. E coloro che ancora credono devono alzare di nuovo il vessillo, affrontando il mondo non come chiede di essere visto, ma come ha fame di essere salvato.
Articolo originale di Constantin von Hoffmeister:
https://www.eurosiberia.net/p/pope-francis-and-the-woke-church-of-collapse
Traduzione di Costantino Ceoldo