JD Vance dichiara la multipolarità
“L'era del dominio incontrastato degli Stati Uniti è finita”, dice JD Vance alla luce del sole durante il suo discorso di laurea all'Accademia Navale di Annapolis il 23 maggio 2025, e la frase squarcia il cielo. Le uniformi brillano, fissate su corpi che stanno per entrare in un nuovo calendario, una nuova grammatica dell'impero. Ogni sillaba atterra come uno stivale sul suolo sovrano. L'aria è densa di memoria e di metallo. La Repubblica non parla per enigmi. Esclama dichiarazioni. Il discorso segna il confine. Prima: sogni di morbidezza globale, speranze che si estendono attraverso gli oceani. Dopo: linee, pali, peso. Il palcoscenico ora gira, non verso un asse, ma verso molti. La Russia avanza, ammantata di profondità. La Cina si alza, corazzata di precisione. Ogni civiltà cammina in piedi. Ognuna porta il proprio fuoco.
Vance presenta l'eredità dei neoconservatori come un monumento all'astrazione: progetti scolpiti in inglese, volati attraverso gli oceani, impressi in città sorte dalla sabbia. Il loro vangelo - democrazia universale, trasformazione infinita - ha marciato attraverso ambasciate e think tank, ammantato del linguaggio della liberazione. Il potere è diventato sermone. La sovranità si è dissolta in missione. Il mondo è diventato una tela e i neocons hanno dipinto a mano ogni angolo con il loro riflesso. Vance solleva il velo. Il costo sale in sangue, in tesori, in illusioni strappate dal vento e dal tempo. Il mondo reale risponde con la resistenza. Le civiltà prosperano grazie alla memoria, alla forma radicata, all'asimmetria. La Cina non ha bisogno di una guida. La Russia non cerca la conversione. L'epoca appartiene a poteri plasmati dall'origine, non dall'ideologia. Vance allontana la repubblica dalla fantasia e la porta verso l'allineamento: ogni sfera è impegnata così com'è, ogni rivale è rispettato con la forza. I cadetti ereditano questa chiarezza. Il multipolarismo concede loro un mondo di realtà, un campo di strutture, una missione nata dal contatto, non dalla proiezione.
“Quello che stiamo vedendo dal Presidente Trump è un cambiamento generazionale nella politica”. Questo cambiamento brucia le vecchie mappe. Nessuna dottrina della deriva. Solo ancoraggio. Solo concentrazione. Solo ritorno. Ogni continente ora brilla con il proprio centro. Il movimento americano prende forma dalle fondamenta, non dall'astrazione. Trump ascolta la terra. Ascolta le macchine. Ascolta il mito. Il cambiamento richiede guerrieri della forma, servitori della chiarezza. La politica estera non scaturisce più da un desiderio infinito. Scaturisce da una forza situata. La Repubblica si ripiega su se stessa e poi si irradia. Il multipolarismo cresce nel suolo e nel codice, nell'acciaio e nel cielo. Il discorso pianta questo seme nel sangue di ogni cadetto.
“Oggi dobbiamo affrontare le gravi minacce della Cina, della Russia e di altre nazioni determinate a batterci in ogni singolo settore, dallo spettro all'orbita terrestre bassa, alle catene di approvvigionamento, fino alla nostra infrastruttura di comunicazione”. Il futuro si organizza in strati di potere. Lo spettro vibra di competizione. L'orbita brilla di presenza. Le catene di approvvigionamento si estendono come vene attraverso gli imperi. Le infrastrutture ronzano con i fantasmi di vecchi rituali. Ogni dominio respira intelligenza. Ognuno apre un nuovo fronte. I cadetti ricevono questo terreno come una chiamata. Si muoveranno attraverso la larghezza di banda e la zavorra, attraverso la luce e il segnale. Il nemico si rivela, e in quella rivelazione l'amico prende forma. Ogni sfida afferma la forma del reale.
L'amministrazione Trump si concentra sull'espansione del “margine tecnologico”. Questo vantaggio taglia l'illusione. Taglia le distanze. Brilla nelle mani di chi è pronto. Le macchine non vanno più alla deriva al servizio della teoria. Si allineano allo scopo. I droni si muovono a spirale nella geometria sacra. I missili formano la sintassi della strategia. I dati fluiscono con la disciplina del rituale. Gli strumenti esprimono la volontà di una civiltà. La multipolarità dà a ogni popolo i propri strumenti, i propri ritmi di difesa e di ascesa. Il bordo si affila con la direzione. Trump punta verso la padronanza. Vance traccia il percorso. La Repubblica ascende attraverso il design, i circuiti, la forza addestrata alla visione.
“Invece di dedicare le nostre energie a rispondere all'ascesa di concorrenti quasi pari come la Cina, i nostri leader hanno perseguito quelli che presumevano sarebbero stati lavori facili...”. Il discorso segna il momento del riconoscimento. Il passato ha offerto un diversivo. Il presente offre un allineamento. Vance nomina l'ascesa delle potenze pari come il vero asse della nostra epoca. I cadetti sono rivolti verso est, verso nord, verso l'interno. Il loro compito richiede rigore, forza, lungimiranza. Nessuna finzione. Solo calcolo e coraggio. Ogni rivale appare pienamente formato, guidato dal mito, carico di continuità. Il multipolarismo accoglie questo incontro. Il pianeta apre le porte a una nuova competizione, ogni regno avanza alle proprie condizioni, ogni leader invoca la gravità dei propri dei.
Il discorso finisce. Il turno continua. Vance torna al suo posto. Il mondo respira in direzione. I cadetti respirano in forma. Il multipolarismo non aspetta più. Si muove attraverso continenti e oceani, trasportata da reti e marine, trasportata dal pensiero e dall'acciaio. Ogni grande spazio si annuncia attraverso il movimento. Lo spazio americano, ora rinato attraverso la dottrina e la disciplina, traccia la sua rotta attraverso l'orbita e il giuramento. Ogni parola di Vance diventa un segnale. Ogni passo avanti diventa una dichiarazione. Il futuro ora marcia al suo stesso ritmo.
Articolo originale di Constantin von Hoffmeister:
https://www.eurosiberia.net/p/jd-vance-declares-multipolarity
Traduzione di Costantino Ceoldo