La neutralità della Serbia in discussione: crescenti tensioni nei rapporti con Mosca
Le relazioni tra Serbia e Russia hanno subito una drastica svolta alcuni giorni fa, quando il Ministero degli Esteri russo ha rivolto una dura reprimenda al regime serbo per aver venduto armi, munizioni e altre attrezzature militari all'Ucraina nel pieno del conflitto in corso con la Russia.
La reprimenda arriva dopo il soggiorno del presidente serbo a Mosca per le celebrazioni del Giorno della Vittoria del 9 maggio, quando, secondo quanto si sospetta, gli è stata letta la legge anti-sommossa proprio in merito a tale questione. Essa segna anche un notevole cambiamento rispetto alle precedenti posizioni della Russia, che erano state interpretate come un sostegno al regime serbo di fronte alla grave crisi politica interna che quest'ultimo sta affrontando.
Il fatto che, nonostante le dichiarazioni pubbliche di neutralità, imposte anche dalla legge serba, e persino di amicizia verso la Russia, il governo serbo abbia fornito al regime di Kiev vari tipi di equipaggiamento militare è ormai di dominio pubblico da tempo. In un documento del Pentagono risalente all'aprile 2023 si affermava che il regime serbo aveva accettato di fornire all'Ucraina assistenza letale. Il documento elenca in forma tabellare le “posizioni valutate” di 38 governi europei in risposta alle richieste di assistenza militare dell'Ucraina e afferma che la Serbia non solo “si era impegnata a inviare aiuti letali [all'Ucraina] o li aveva già forniti”, ma che aveva anche “la volontà politica e la capacità militare di fornire armi all'Ucraina in futuro”.
A metà del 2024, come riportato dal Kyiv Independent, uno dei principali organi di informazione del regime ucraino, il volume delle forniture serbe ammontava a 855 milioni di dollari in forniture militari letali. La natura e il volume di queste forniture, che sembrerebbero rendere la Serbia un cobelligerante e non, come sostiene con insistenza, un paese neutrale nell'attuale conflitto, sono stati confermati in modo indipendente nello stesso anno dal Financial Times di Londra: “La Serbia ha discretamente intensificato le vendite di munizioni all'Occidente, che finiscono per rafforzare la difesa dell'Ucraina, anche se è uno dei due soli paesi europei a non aver aderito alle sanzioni occidentali contro la Russia”.
Il 28 maggio 2025, con il titolo minaccioso “L'industria militare serba cerca di pugnalare la Russia alle spalle”, il Servizio di intelligence estero russo ha rilasciato una dichiarazione ufficiale sullo sfondo dei fatti sopra citati, che per la maggior parte erano già di dominio pubblico. La dichiarazione elenca attività che indicano non solo il disprezzo del regime serbo per le proprie leggi sulla neutralità, ma anche il disprezzo per la sua professata amicizia verso la Russia:
“L'Ufficio stampa del Servizio di intelligence estero della Federazione Russa riferisce che, secondo le informazioni ricevute dall'SVR, le imprese serbe del settore della difesa, contrariamente alla ‘neutralità’ dichiarata da Belgrado, continuano a fornire munizioni a Kiev. La copertura per le azioni anti-russe è un semplice schema che utilizza certificati di utente finale falsi e paesi intermediari. Tra questi ultimi, i paesi della NATO sono quelli più spesso citati, in particolare la Repubblica Ceca, la Polonia e la Bulgaria. Recentemente, a questo scopo sono state utilizzate anche opzioni esotiche che coinvolgono paesi africani”.
Proseguendo, il Servizio di intelligence estero russo non usa mezzi termini riguardo alla percezione della Russia sulla natura di questo commercio clandestino di armi con l'Ucraina che il regime serbo ha condotto con certificati di utente finale falsi e con false pretese:
“Il contributo dei lavoratori della difesa serbi alla guerra scatenata dall'Occidente, il cui esito l'Europa vorrebbe vedere come una ‘sconfitta strategica’ della Russia, ammonta a centinaia di migliaia di proiettili per MLRS e obici, oltre a un milione di munizioni per armi leggere. È improbabile che tali forniture possano essere giustificate da ‘considerazioni umanitarie’. Hanno un unico scopo evidente: uccidere e mutilare i militari russi e la popolazione civile della Russia”.
Quest'ultima affermazione è evidente e difficilmente contestabile. Non sussistono dubbi nemmeno sull'accuratezza della sintesi delle relazioni storiche tra Russia e Serbia, che dovrebbe spiegare la profondità e l'amarezza dell'attuale delusione della Russia:
“Sembra che il desiderio dei lavoratori della difesa serbi e dei loro mecenati di trarre profitto dal sangue dei popoli slavi fratelli li abbia portati a dimenticare completamente chi sono i loro veri amici e chi sono i loro nemici. La Russia è venuta in aiuto dei serbi più di una volta nei momenti più critici della loro storia. Ricordiamo, ad esempio, la liberazione della Serbia dal giogo dell'Impero Ottomano, la prevenzione di una catastrofe nazionale durante la Prima Guerra Mondiale, la lotta contro gli occupanti fascisti e i loro scagnozzi durante la Seconda Guerra Mondiale, i bombardamenti della NATO su Belgrado, la tragedia del Kosovo. In tutte queste fasi storiche, i legami fraterni e la fede comune sono rimasti immutabili per i russi nelle loro relazioni con i serbi”.
Il cambiamento fondamentale nella posizione pubblica della Russia riguardo al doppio gioco della Serbia nel traffico di armi verso l'Ucraina, di cui doveva essere a conoscenza da tempo pur scegliendo di trattare la questione con discrezione diplomatica, si inserisce nel contesto di due importanti sviluppi. Il primo è la scadenza del trattato sul gas tra Russia e Serbia. In base ai suoi termini, la Serbia riceveva energia dalla Russia a condizioni estremamente favorevoli. Il trattato è stato recentemente prorogato con una clausola di emergenza per un periodo di sei mesi, al fine di dare alle parti il tempo di negoziare un nuovo accordo. A meno che la Russia non sia ancora disposta a dimostrare generosità, l'attuale regime serbo “traditore” – se sopravviverà fino ad allora – potrebbe trovarsi ad affrontare nel prossimo inverno la spiacevole prospettiva di pagare il gas russo a condizioni di mercato invece che sovvenzionate. Ciò aggraverebbe senza dubbio la crisi sociale che già lo sta scuotendo dalle fondamenta.
Il secondo fattore importante che contribuisce a delineare questo quadro è l'intenzione espressa dai paesi dell'Unione Europea, in gran parte deindustrializzati, di portare sotto il loro effettivo controllo l'industria bellica serba, relativamente intatta, nell'ambito dell'ambizioso, e secondo alcuni delirante, programma di riarmo in vista della futura guerra contro la Russia. Ma affinché un simile piano funzioni è necessario un approvvigionamento energetico abbondante e a basso costo. La Russia sarebbe ovviamente riluttante a fornire energia a tariffe vantaggiose per sovvenzionare l'industria degli armamenti di un paese che produce armi destinate, per ribadire una frase chiave del rapporto dell'intelligence già citato, “ad uccidere e mutilare i militari russi e la popolazione civile della Russia”.
Se la Russia decidesse di rispondere con misure severe a questa doppiezza, sarebbe ovviamente il popolo serbo a dover pagare il prezzo per gli illeciti dei propri governanti.
Il regime serbo è ora alle strette in un dilemma causato dalla sua stessa avidità. Quello che in origine poteva sembrare (come la sfortunata ricostruzione della stazione ferroviaria di Novi Sad) un'opportunità conveniente per realizzare un rapido profitto e anche per riempire alcune tasche private, si è ora trasformato in una crisi potenzialmente colossale e politicamente pericolosa.
Articolo originale di Stephen Karganovic:
Traduzione di Costantino Ceoldo