La Rottura di livello psicologica, via maestra nell’esistenza del Soggetto Radicale II Parte: avversità e condizione illusoria

09.12.2024

     Come già affermato nella prima parte di questa serie di articoli a cadenza variabile, non siamo noi a scegliere se diventare Soggetti Radicali o meno, ma è il Divino che sceglie e a noi sta solo la volontà di predisporci e di aderire o meno alla Sua scelta, fidandoci di Lui ma non sapendo cosa ci riserverà il futuro. Nel corso di questi articoli, esamineremo in profondità, almeno alla luce dell’antropologia mistica, i gradi della rottura di livello psicologica che qui ribadiamo, ossia: la perdita, il fallimento, la calunnia, il tradimento, la persecuzione, l’abbandono.

     Infatti, non è tanto la lotta generosa contro i vizi capitali e la pratica delle virtù contrarie che provocano le rotture di livello psicologiche, ossia la lotta contro la propria “carne” intesa non come “corpo dono di Dio” ma come inclinazione smodata verso tutto ciò che è materiale unita ad una viva repulsione per tutto ciò che è spirituale. Sono invece le avversità della vita, provocate dal “mondo” delle persone non orientate al Divino con le loro opinioni, le loro critiche, le loro amoralità, i loro giudizi e le loro persecuzioni, e ancor più il “demonio” ossia Satana e gli spiriti del male con le loro vessazioni, i loro ostacoli, le loro ossessioni persecutorie che se accettate provocano le rotture di livello.

     Per questo motivo il combattimento spirituale diventa acuto, sottile e molto doloroso durante ogni prova che precede una rottura di livello e la progressiva liberazione dell’anima, la quale è annientamento dell’ego a favore dello sviluppo del Sé, del Divino in noi. Quindi serve accettazione, piena accettazione come segno della fede e della fiducia nel Divino, per ritrovare le energie di sopravvivenza fino ad un nuovo inizio e condire con un po’ di ilarità guerriera e di positività goliardica l’acerbissima lotta scatenata dal mondo e dal demonio. Accettazione, non rassegnazione, la qual ultima rappresenta la fine di tutto, la disfatta completa e totale, una condizione negativa di piena sudditanza al regno del male da cui difficilmente si potrà riemergere.

     Nel riflettere sulla questione propria della rottura di livello psichica (ossia dell’anima), detta appunto “psicologica” in quanto muove da una riflessione critica ascetico-mistica di ordine antropologico ex post sui momenti di rottura dell’ego(ismo) a favore della nascita e dell’affermazione del Sé (altruismo), ci auguriamo che essa rappresenti un discorso che non venga interpretato alla luce del pessimismo né tantomeno che crei disagio esistenziale, ma che venga invece colto nel segno del realismo proprio del combattimento spirituale. Infatti, la lotta dell’anima, l’ascesi necessaria a sradicare in maniera efficace le numerose maschere dietro a cui si cela il nostro ego infettato dai vizi capitali, quell’illusione per cui noi crediamo di essere ciò che non siamo costruendo una serie di false identità autocompiacenti che sono stimolo per “realizzare” la nostra esistenza rifiutando il Sacro o creando uno pseudo Sacro, è una lotta durissima e senza sconti.

     Questo perché la visione della propria corruzione e della propria falsità, ossia la percezione viva di ordine spirituale circa le proprie maschere di menzogna, è un’apertura violenta ed improvvisa dell’anima che vede se stessa in modo spaventevole e tenebroso. E tale visione, stimolata e provocata anche da eventi esteriori aggiuntivi spesso traumatici come la realtà complessiva di avversità esistenziali testé descritte, ossia “perdita”, “fallimento”, “calunnia”, “tradimento”, “persecuzione”, “abbandono”, diventano insopportabili e spesso sono rifiutate da quelle anime che non possiedono la fede nel Divino o, avendone in modo insufficiente, si ritirano ai primi tafferugli col male, come quel grano di evangelica memoria il quale seminato tra le rocce cresce subito e si slancia rigoglioso, ma poi ai primi raggi intensi del sole si dissecca. [1]

     La traumatica visione della propria condizione illusoria, è infatti il primo vero risveglio dell’anima e un primo grado di rottura di livello a cui l’anima viene sottoposta dalla provvidenza del Divino nel cammino della sua deificazione. Quindi, se l’anima stessa rifiuta la presa di coscienza di questa illusorietà sostanzialmente contemplata in modo macabro e realista, e preferisce vivere appagandosi in essa, non crescerà affatto attraverso ulteriori rotture di livello ma resterà strumento perfetto del signore delle tenebre e dei suoi accoliti. I quali, attraverso le false vie della consolazione materiale e della consolazione spirituale in primis useranno l’anima per procreare il male o un “falso bene” di ordine prometeico, manipolatorio e pseudo iniziatico (dai tarocchi alle rune, dalla Kabbalah fino alla negromanzia, dalle false estasi alle pseudo rivelazioni), elevandola tanto in alto nel fallace cielo dell’illusione, quanto poi alla fine della vita procureranno la sua caduta eterna precipitandola nel terribile abisso delle tenebre infernali.

     Questa condizione di illusorietà si manifesta in modo lampante nella qualità di doppio nero ossia nel sosia del Soggetto Radicale: essa rappresenta la sorte di diverse anime a vocazione metapolitica considerate  “anime grandi” nel consesso dei consimili, che però non vogliono riconoscere la realtà e la guida del Divino nella propria esistenza; e, inoltre, prefigura esemplarmente lo stato d'animo, lo status finale dell’Anticristo, il quale dichiarandosi unico vero e sommo Dio bastante a se stesso, ripeterà nella sua vita, nelle sue parole, nelle sue azioni e nelle sue opere quel rifiuto orgoglioso di Lucifero e dei suoi sodali nei confronti della volontà di Dio e del suo piano d’amore salvifico, come accadde nel giorno della prova di fedeltà che gli angeli affrontarono nell’alba della creazione, cercando di prevaricare il Trono della Gloria di Dio e urlando con disperazione il loro: «Non serviam».[2]

 

 

[1] Cfr. Vangelo di Marco, 4,1-20 (La parabola del seminatore).

[2] Bibbia Vulgata, Libro del Profeta Geremia, 2,20: «Non servirò».